Valle del Sacco: storia, presente e possibile futuro
La Valle del Sacco è un’area geografica che si trova nella Provincia Meridionale di Roma ( Colleferro- Segni – Gavignano) e l’intera Provincia di Frosinone.
Fin dall’inizio del secolo scorso, fu un’area interessata ad una pianificazione di sviluppo industriale sostenuto dalla politica di incentivazione promosso dalla Cassa per il Mezzogiorno. In effetti ciò comportò una sistematica rinuncia a favore dell’agricoltura, la principale fonte di reddito locale anche se ciò non comportò un vero e proprio abbandono della terra. Il rapporto con l’attività agricola si allentò in tempi piuttosto rapidi, divenendo un’attività di integrazione a quella operaia e legata quasi esclusivamente all’autoconsumo familiare. Gli interventi pubblici e l’arrivo del capitale estero, se per per alcuni punti di vista comportarono un effettivo miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle popolazioni, dall’altro compromise progressivamente la vocazione naturale della regione. Lo sviluppo industriale riguardò diversi settori con particolare riferimento alle attività manifatturiere, fabbricazione di prodotti chimici, fabbricazione di esplosivi, fibre sintetiche ed artificiali, materie in plastica, costruzione di materiale rotabile ferroviario, e prodotti chimici per l’agricoltura. Lo sviluppo industriale della Valle del Sacco è storicamente riscontrabile in due distinte aree, quella settentrionale, attorno alle campagne di Anagni – Segni ( dove negli anni 30 nacque l’agglomerato di Colleferro) e più a sud a ridosso di Ceccano. Lo sviluppo strutturale dei due poli venne a convergere nel 1936 quando l’industria bellica Bombrini Parodi Delfino ( BPD) – l’impianto di maggior spicco dal punto di vista produttivo – iniziò alcuni piani di ampliamento con il culmine dello sviluppo strutturale degli stabilimenti di 340.000 mq. nel 1913, ai 1.450.000 del 1928. per arrivare fino ai 6.228.000 nel 1965.
Il 31 Marzo 1970 il Consiglio dei Ministri con decreto n. 7650 approvava il piano regolatore dell’area con una estensione di 2500 ettari, e nell’anno 1976 le unità industriali ammontavano a 138 senza considerare le attività che in quello stesso tempo/periodo erano ancora in fase di preparazione. Successivamente a tale fiorente periodo ( sia per i livelli occupazionali sia per il benessere diffuso nelle popolazioni) si registrò pian piano una diminuzione dell’attività produttiva, dovuta principalmente alle nascita delle commesse all’estero, e dell’inizio del fenomeno del rallentamento della produzione industriale con l’introduzione della cassa integrazione e della mobilità. Altro elemento che determinò la forte diminuzione industriale fu l’inquinamento scoperto in diversi siti dell’intera area interessata, oggetto di successivi studi e ricerche da parte delle competenti autorità per i previsti interventi di bonifica. Fin dal 1985 vennero stilati i primi progetti per il disinquinamento che si susseguirono fino a ridosso della grave crisi che colpì le campagne ciociare nel 2005, i cui sviluppi sono ancora in corso per i processi molto complessi. C’è anche da evidenziare che, in relazione alle generale crisi che il settore industriale della provincia vive ormai da diversi anni, si è interrotta la produzione di molti stabilimenti e alla consecutiva dismissione. Le autorità istituzionali, sia centrali che locali, hanno stanziato fondi per la bonifica dell’intero territorio, ed è notizia di questi giorni, che la Regione Lazio abbia definitivamente sbloccato somme per l’attuazione ed esecuzione dei piani di bonifica dei territori interessati, restando comunque difficile ipotizzare l’arco temporale necessario per l’attuazione degli stessi progetti ( si ipotizzano diversi anni). Ci si augura che i progetti ARPA 1 ed ARPA 2 possano essere finalmente realizzati, in particolare per la riqualificazione dell’ex area industriale, anche in riferimento al protocollo di intesa siglato dal Ministro dell’Ambiente, Ministro dello Sviluppo Economico, Regione Lazio, e Agenzia Nazionale per l’attuazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa. Allo stato attuale per queste aree, il futuro che si può immaginare una volta bonificate, sarebbe quello di sviluppare attività di terziario e di agricoltura compatibile con le nuove tecnologie di produzione. Certo è, che lasciare codesti terreni così come sono, e non adoperarsi per il loro recupero, rappresenterebbe un’ulteriore danno per l’intera area e delle popolazioni che vi vivono, che dai fasti del “ forte benessere” pagherebbero ancora una volta un prezzo molto elevato per una crisi profonda e duratura di cui non si vede la fine.
Angelo Lupi